Una storia irreale
di John Henry Gray
Traduzione e cura di Vanni De Simone
Uno dei migliori testi della letteratura fantastico-utopistica a lungo sottovalutato, anche a causa della vicinanza dell’autore a Oscar Wilde, suo celebre mentore e probabile amante. Il protagonista del romanzo, ispirato a un personaggio realmente esistito, l’esploratore Mungo Park, si ritrova in una dimensione parallela a quella terrestre, nella quale la realtà assume toni angosciosamente surreali. Un mondo curiosamente rovesciato che, in un’epoca dominata dal colonialismo europeo, vede i neri come la “razza” dominante, mentre i bianchi sono relegati come schiavi nel sottosuolo. Ciò che sconcerta nel testo sono le invenzioni futuristiche che caratterizzano l’isola di “Ia”, e dove fa la sua apparizione un tipo di tecnologia completamente sconosciuta per l’epoca a cominciare dal “videofono”, una specie di antenato della televisione. In tutta l’opera aleggia una sorta di sensualità morbosa di carattere omosessuale, che fa di questo strano prete una figura alquanto singolare, e del romanzo un’opera assolutamente unica nel suo genere.
John Henry Gray (1866-1934), poeta e scrittore, fu per molti anni parroco cattolico a Edimburgo. Grande amico di Oscar Wilde prima della sua conversione al cattolicesimo, fu quest’ultimo a fargli pubblicare il primo volume di versi, Silverpoints (1893). Pubblicò in seguito altri volumi di poesie, libretti di versi devozionali e infine Park: a Fantastic Story (Una storia irreale, 1932). Il testo poetico migliore, The Flying Fish fu pubblicato prima su The Dial, l’organo letterario del movimento trascendentalista americano, nel 1896, e in seguito compreso in The Long Road (1926).