dedicata a Roberto Roversi
Da ‘Il verri”, settembre 1976, numero 1, pagg. 135-139.
Nel 1976 furono poste a vari poeti e intellettuali alcune domande sulla situazione della poesia. ‘VARIAZIONE SU ALCUNI EQUILIBRI DELLA POESIA CHE SANNO DI ESSERE PRECARI’ è il titolo dell’introduzione di Luciano Anceschi a ‘il verri’ n. 1, settembre 1976 che pubblica tutte le risposte degli invitati al progetto.
La risposta di Antonio Porta è l’ultima pubblicata sulla rivista, pubblicata alle pagine 135 (in prosa) e 136-139 in forma di scrittura poetica.
Qui di seguito le domande del questionario:
Ogni questionario nasconde sempre dietro l’ordine e la qualità delle domande un percorso in qualche modo già delineato e un orientamento approssimativamente preciso: è questo un fatto inevitabile se si vuole “costringere” a risposte su argomenti prefissati. Resta ovvia la libertà di ognuno di rispondere nei modi voluti o di abbandonare il percorso delineato; altrettanto ovvio è che nel lavoro poetico e negli scritti di ognuno sono già contenute le risposte al questionario il cui unico scopo è quello di riportare all’oggi il significato delle
scelte fatte.
La produzione letteraria che in questi anni ha – all’apparenza – contato di più, che è stata più immediatamente “monetizzata”, ha avuto carattere prevalentemente saggistico (storico e letterario). Nello stesso tempo sono però venute meno quelle teorizzazioni che da diversi punti di partenza giungevano a sostenere la cosiddetta “morte dell’arte” e sono state riproposte forme di analisi e di espressione a carattere “creativo”.
Quale è stato in questo periodo lo spazio della poesia e quale sembra essere in prospettiva?
In ogni fase di rivolgimenti economico-sociali l’oggettività storica mira alla “dissoluzione del soggetto”, l’esperienza individuale tende a ripiegarsi su se stessa e a diventare testimonianza,”rifugio della storia”.
In questa fase di violenta privatizzazione e deprivatizzazione dell’individuo esiste ancora una funzione che il poeta viene ad assolvere?
T.S.Eliot in una conferenza del 1953 parlò di tre voci della poesia e disse: “La prima voce è quella del poeta che parla a se stesso, ovvero a nessuno. La seconda è la voce del poeta che si rivolge a un uditorio, grande o piccolo che sia. La terza è la voce del poeta quando tenta di creare un personaggio drammatico che s’esprima in versi…”.
Queste “voci”, oggi, si possono ancora ascoltare? Qual’è l’importanza della memoria? E’ Possibile uno spazio per il “fantasticare”? e per creare personaggi drammatici? Esiste un pubblico della poesia?
E’ stato detto che il grande poeta “esaurisce” la lingua, ma solo una lingua capace di “esaurirsi” è in grado di produrre un grande poeta: è possibile oggi “esaurire” la lingua -intesa in termini saussuriani – ed esiste una lingua in grado di “esaurirsi”? Quali sono i rapporti tra lingua e poesia?
La distinzione tra lingua comune e lingua letteraria è una costante precisa della nostra storia – pure con le trasformazioni cui le forme letterarie sono state sottoposte -. Quali sono oggi i segni di questa differenza? In che modo si strutturano in linguaggio poetico? Esistono elementi che permettono di riconoscere in un messaggio verbale una poesia?
Ridurre l’avanguardia ad arte di museo è un’idea che è stata comune ad ogni avanguardia storica, almeno da Pound in poi. Oggi alcune esperienze poetiche -da quella “storica” di Zanzotto, fino a quelle di Bellezza, Vassalli, Viviani – e la riproposizione dei testi teorici del “Gruppo 63, raccolti e annotati da appartenenti stessi al gruppo, sembrano avere fatto entrare per davvero in museo l’avanguardia che, a sua volta, sembra avere definitivamente abbandonato quel ruolo di oppositore e disordinatore delle istituzioni culturali e politiche che essa stessa si era assunta. Quale bilancio è possibile trarre, cosa rimane e cosa è andato perduto di quella esperienza?
Le istituzioni sociali e gli istituti letterari hanno sempre cercato di ricalcare sull’immagine del poeta aspetti in qualche modo spettacolari, da quello di poeta maledetto a quello di poeta vate. Ora ci troviamo di fronte ad un drastico ridimensionamento della figura del poeta, mentre proliferano esperienze di tipo poetico che invadono spazi tradizionalmente a loro interdetti – manifestazioni politiche di vario tipo, pagine di quotidiani, trasmissioni radiofoniche – e che tendono ad esprimere comportamenti soggettivi in dimensione collettiva.
Come giudicate questi tentativi, quale significato vi si può attribuire? Quali sviluppi si possono prevedere o auspicare?
Antonio Porta – Che la situazione sia facile o difficile, favorevole o ardua per la poesia o per meglio dire il fare poesia mi pare questione da non porre neppure, piuttosto stimolo a querule lamentele per gli inetti che pungolo al mettersi al lavoro. Lasciato dunque da parte il dannoso dilemma occorre riaffermare con decisione che in tutte le situazioni e in ispecie in quella che venisse giudicata come difficilissima le ragioni che debbono prevalere sono le stesse della poesia, cioè del fare poesia, diciamo interne al corpus poieticum di leggi che le son proprie, altrimenti e forse con più precisione definite da Luciano Anceschi istituzioni. Sia pure considerato un paradosso che un’attività sostanzialmente antiistituzionale sia retta a sua volta da istituzioni; ma chi lo fa sbaglia perchè solo servendosi di istituzioni proprie e diverse, dunque alternative, come le leggi di funzionamento fisico e matematico di un altro mondo, solo servendosi di esse si potranno davvero mettere a punto strumenti che servano. Il resto è anarchia, folle immaginazione di velleitari, quali appunto gli anarchici in genere, che alla fine, è una legge mai smentita dalla storia, finiscono con l’identificarsi con la sottocultura del potere, per esempio il qualunquismo. E gli anarchici e anarcoidi in genere sono i primi a spaventarsi nelle situazioni molto difficili e in queste giungendo impreparati non sanno che pesci pigliare nè con che reti e rifugiano nella protesta generica. Per questo ritengo utile contribuire al discorso sul fare poesia contemporanea pubblicando uno scritto non sistematico su metrica, rime e ritmi. C’è qualcosa d’altro di più urgente e attuale? Mi pare di no.
La ragione c’è stata: lo sforzo disperato della poesia di rimanere sé stessa, insomma autosufficiente ne ha distrutto la metrica pur di conservare la lirica ne ha fatto a pezzi gli strumenti invece se la poesia vuole essere serva la poesia vuole porsi, proporsi come servizio come strumento per vivere allora la metrica vecchia e nuova serve moltissimo ma anche la rima oltre al ritmo come ha sempre ragione Auden: se non ti piacciono le filastrocche non sei adatto a far poesia «fare» poesia non «essere» poesia non conservare il museo della poesia significa utilizzarne tranquillamente istituti e tradizioni di qui un’equazione sorprendente: avanguardia = museo discorso sul museo = avanguardia o se vogliamo: è questo la morte dell’avanguardia come semplice operazione distruttiva e autonomista e l’arte deve tornare umile l’artigiano ne è base e fondamento (oh recupero perfino dei rimari!) per esercizio: scrivere ninna-nanne ma guai a togliere l’aiuto di ritmi e rime (le rime non sono sempre indispensabili ma quando ci sono quanta forza si sente salire dai versi quanta forza scende nella comunicazione…) il poeta è uno che vende i biglietti mica fa il demiurgo di un cielo vuoto dice: ma allora si può passare alla prosa e perche non ci passi tu se lo vuoi? se va bene per quel tipo di comunicazione che vuoi fare può andar bene anche una prosa spezzata se ti trovi a tuo agio per fare meno fatica? questo no ma di una cosa stai sicuro: non devi fare il custode del giardino dai fiori unici e rarissimi né fare il giardiniere di quello stesso giardino paradosso: quei fiori devi comprarli o rubarli e servirtene per compiere un servizio per chi? per i tuoi lettori, per i lettori che avranno mol-ti più strumenti per rifare la tua poesia leggendola… come il Cielo la Poesia è vuota non avere paura a usare rime e ritmi o invece un tono da conversazione spezzata molti sono gli strumenti buoni molti sono gli strumenti come dice Roubaud che possono fare da tramite tra poesia e linguaggio tra poesia e lingua così a poco a poco quel vuoto si riempie di parole reali di suoni di metrica di misure di rime come seguendo il giusto percorso in un labirinto si parte e si ritorna sicuri all’uscita seguendo la sua logica la poesia è anche strumento di sè stessa chi poteva dubitarne che funziona in sincronia con tutti gli altri congegni linguistici in cui può sempre identificarsi assumendoli in funzione di è discorso contraddittoriamente autonomo regola che si mostra impudica ma (lo si deveripettre anche per l’uso del linguaggio) prima di tutto viene il mestiere come conoscenza l’ispirazione è frutto di buona salute e di atti-vità di lavoro non c’è stato un momento della storia in cui il lavo-ro ha tanto contato soltanto il lavoro vince l’analfabetismo poetico insieme a tutti gli altri che lo precedono o non bisogna forse continuare a studiare una lingua per capirla meglio soprattutto la propria dal lavoro che si fa ogni giorno nasce il futuro insieme al presente della poesia dunque anche l’autonomia della poesia è frutto di una scelta e di un lavoro all’interno di essa dunque anche l’autonomia è strumento di nuovo come si allude nel titolo metrica e poesia vanno fuse in unico vocabolo che è fare
Antonio Porta 25.4.1974 / 27.1.1976